Diciassette anni fa uno sconosciuto con la barba che mi sedeva accanto nella saletta TV di uno dei me­no eleganti alberghi della nostra città, si voltò all’im­provviso verso di me e mi domandò a bruciapelo se avevo dei problemi con l’alcool. “Come diavolo ti è venuta una simile idea?” replicai, sapendo che in quel momento ero fisicamente sobrio, anche se un po’ tre­molante e scoordinato.

Non mi rispose. Infilò una mano all’interno di una giacca che aveva visto tempi migliori, tirò fuori un li­bretto sudicio e assai sciupato e disse qualcosa su una riunione cui, se volevo, avrei potuto andare la stessa sera. Disse che li avrei trovato “gente simpatica che ti

capirà”. Accennò anche a caffè e dolci gratis. Questo mi fece decidere.

Di quella conversazione oggi ringrazio Dio, che io chiamo Potere Superiore. Intirizzito e affamato come ero io, riuscii a farmi coraggio e ad andare all’indirizzo che quello mi aveva dato. Andò naturalmente a finire che si trattava di una riunione A.A. Fu qui che realiz­zai dopo tanti anni il primo vero contatto umano e fu con l’uomo che alla fine diventò il mio sponsor A.A.

Alcune settimane dopo tornai a bere e a distrug­germi per altri sette anni. Ma poi reagii e recentemen­te ho festeggiato il mio decimo anniversario di sobrietà, durante la nostra normale riunione di A.A. gay, qui nella mia città.

Il mio alcolismo risale a molto tempo fa, tanto quanto la mia omosessualità. Uno dei miei più remoti ricordi d’infanzia è quello dei sorsi che rubacchiavo dal­la lattina di birra di mio padre adottivo e dell’acqua con cui la rabboccavo in modo che egli non se ne accor­gesse. Poi sui dieci anni mi misi a frequentare i bar gay. Proprio fin dall’inizio mi piacque il calore che il bere mi procurava anche se ne odiavo il sapore.

Non passò molto, tuttavia, che cominciai a tro­varmi in un mare di guai a causa dell’alcool. Presi a usarlo sia come stampella, sia come fonte di calore. Be­vevo per trovare il coraggio di fare cose pericolose. Al­lora non avevo idea di che cosa stessi facendo, ma ora capisco che bevevo forte fin dall’inizio. Ricordo, per esempio, come un buon amico fosse disgustato dal mio bere eccessivo già quando avevo a malapena vent’an­ni. Credevo di essere raffinato e di “rimorchiare” me­glio, come gli altri in quelle bettole per gay. Ma ora so che era l’alcool a prendere subito il sopravvento.

Prima di A.A. tutto quello che avevo erano bere e sesso. Automaticamente mi servivo delle persone per entrambe le cose. Erano tutte senza volto. Nessuno era reale, io meno di tutti!

Il mio padrino fu la prima persona vera che aves­si incontrato da anni, ed egli fece sentire vero anche me. Egli tagliò corto su qualsiasi preoccupazione po­tessi avere riguardo alla mia omosessualità, o qualsia­si altra cosa. Senza sentimentalismi egli mi porse con tranquillità la mano, quella prima sera, come un esse­re umano a un suo pari e ciò che lasciò nella mia mano era la vita.

Adesso sono convinto che in A.A. abbiamo tra di noi dei rapporti come in una famiglia. Penso che tutte le persone di A.A. — gay o regolari — siano per me come fratelli e sorelle. Una volta ottenuta la sobrietà, ci viene data occasione di instaurare dei rapporti nuovi e salutari, che riscattano il modo in cui precedentemente avevamo strumentalizzato gli altri. I nostri compagni A.A. sono persone che possiamo conoscere solo aman­doli, condividendo i loro sentimenti, soffrendo con loro e, anche bisticciando amorevolmente di quando in quando con loro. Si tratta di una autentica partecipa­zione, di una leale partecipazione. Qualcosa cioè che non ho avuto mai in famiglia.

Sono anche contento di provare questa speciale confidenza di genere A.A. verso molte persone normali, cosa che non avrei mai creduto possibile. Infatti sono rimasto sobrio per anni e ho conservato il mio lavoro grazie al fatto che frequento riunioni di A.A. in grup­pi dove per la maggior parte c’erano persone normali. Qui ora conosco sadomasochisti, travestiti, e membri di tutti gli altri gruppi sessuali esistenti, tutte persone sobrie. Ma qui la sola cosa importante è che siamo tutti esseri umani, tutti alcolisti e tutti insieme in A.A.

Personalmente non ho mai nascosto, sia in A.A., che fuori, il fatto di essere gay. Per me è stata una de­cisione giusta, ma io so che non avrebbe avuto impor­tanza se l’avessi nascosto. Ciò che noi facciamo in privato e come scegliamo di parlarne, non sono pro­prio cose di cui A.A. si occupa. La nostra Terza Tra­dizione dice: “L’unico requisito per essere membro di A.A. è il desiderio di smettere di bere”, e questo ha significato la mia sopravvivenza, esattamente dal pri­missimo giorno. Credetemi se ci fossero voluti degli al­tri requisiti, sarei stato respinto!