Qualche tempo fa nella metropolitana di New York apparve un sorprendente manifesto pubblicita­rio a quattro colori. A fissare chi lo guardava c’era un “tipico poliziotto irlandese” sul punto di mangiare un voluttuoso e ghiotto tramezzino di pan di segala di ‘Le­vy’ s” e la scritta diceva: “Non c’è bisogno di essere ebreo per preferire Levy’ s”.

Passato un certo numero di stazioni sotterranee e non appena gli arrugginiti meccanismi della mia te­sta ingranarono, l’immagine intera di quel poliziotto irlandese, (ormai nella mia mente era diventato un po­liziotto cattolico-irlandese di nome O’Toole e dalla voce rauca, con 14 figli e una nonna a Kilkenny) si era ca­povolta.

Una sera, mentre parlavo al mio più caro amico A.A. (il cui nome è talmente irlandese che io posso pro­teggere il suo anonimato solo non citando qui le sue iniziali) e dopo aver preso parte a una riunione aperta di A.A., dove gli oratori due uomini e una donna ave­vano in tutto e per tutto declamato come personaggi di un dramma alla Carolina Invernizio tenuto in un tea­tro parrocchiale, ebbi un’idea brillante.

“Tutto a spese mie”, dissi al mio amico, “pren­derò la stessa agenzia pubblicitaria che ha fatto quel poliziotto irlandese e metterò insieme un manifesto da distribuire a tutti i gruppi A.A. della zona. Ci sarà una foto a colori di me palesemente ubriaco, mentre tra­canno una bottiglia di Schotch. Sotto la foto delle mie fattezze levantine (definite una volta da un amico “la faccia di Abramo”), scriverò “per essere alcolista non c’è bisogno di essere irlandese”.

Il mito che gli alcolisti ebrei siano pochi è, per quanto mi dice l’esperienza, una pura e semplice balla. Con gli ebrei residenti in città, in numero di molto maggiore che non nell’intero Stato d’Israele, la presen­za ebraica alle riunioni di A.A. è quella che uno po­trebbe aspettarsi. Un buon numero di gruppi, in questa parte del paese, hanno una partecipazione di ebrei fi­no al 50%. Anche in altri gruppi gli ebrei abbondano e ne troverete una manciata anche alle riunioni delle zone dove ne vivono pochi.

Un altro mito è che il costume del bere sociale e pesante non sia mai esistito tra gli ebrei e perciò a essi manchi quel “tocco in più” che trasforma il bevitore sociale in alcolista. Stupidaggini. La lingua yddish ha una parola perfettamente adatta per definire “l’ubria­co”: schicker.

Quando viene usata come sostantivo (ad esempio si dice uno schicker) ogni ebreo della città saprà di che cosa state parlando!

Io penso; seriamente ora, che noi alcolisti ebrei mostriamo spesso la tendenza ad essere ipersensibili cir­ca il nostro “esser ebrei”, perciò copriamo questo con una patina di indifferenza, la famosa alzata di spalle semitica. È possibile che un tale atteggiamento tenga fuori dalla nostra Associazione più di un infelice alco­lista ebreo, per sua disgrazia e nostro danno.

Penso ora a una giovane donna che conosco, im­mersa nella tortura del bere progressivo. Sia mia mo­glie, (anch’essa in A.A.), che io, abbiamo cercato negli ultimi due anni di condurla in A.A. Le sue giustifica­zioni con noi si riassumono tutte in un unica afferma­zione “Le ragazze ebree per bene non possono essere alcoliste”.

Forse, Ruth, molte ragazze ebree per bene non so­no alcoliste, ma neanche lo sono dei “ragazzi ebrei per bene”, delle “ragazze luterane per bene”, delle “ra­gazze metodiste per bene”, delle “ragazze italiane

per bene”, o meglio solo “delle ragazze per bene”. Non c’è alcuna rispettabilità in alcun alcolista che

sia in preda ditale malattia. In A.A. non ci importa quanto “per bene” ritieni di essere, se sei ebrea, cri­stiana, musulmana, o niente. E vero, noi terminiamo la gran parte delle nostre riunioni col Padre Nostro, ma nemmeno gli atei presenti si oppongono di solito a questa formalità. Il conduttore domanda di solito, “Chi lo desidera, vuole unirsi a me nel Padre Nostro?”.

Quando bevevo non ero nè ebreo, ne americano, e neppure un uomo. Ero solo un ubriaco, insensibile e senza amore, rispettoso di nessuno e di niente, men che meno di me stesso.

No, Ruth “non c’è bisogno di essere ebrea” ma forse la cosa ti aiuta. In fondo aiutò me ad accettare il fatto di far parte di due gruppi di minoranza, e a es­sere sobrio oggi, grazie al Dio dei miei padri e grazie alle persone di tutti i generi che ci sono in Alcolisti Anonimi.