Ero uno di quei bevitori che non hanno mai visto l’interno di un carcere e non furono nemmeno mul­tati per qualche infrazione che potesse attribuirsi all’alcool. Non ho mai avuto alcun tipo di ricovero ospe­daliero. Il bere non mi è mai costato il lavoro, né la moglie.

La mia dichiarazione preferita era: “Posso smet­tere di bere in qualsiasi momento lo voglia”. Ero giunto al punto di cominciare a crederci. Sono stato capace di smettere di bere in tutte le quaresime, fuorché in quell’unica che precedette il mio ingresso nel program­ma di A.A. Credevo che Dio mi avrebbe punito nell’altro mondo se non avessi fatto certe penitenze per i miei peccati già qui, sulla Terra. L’astenersi dall’al­cool era la più brutale delle penitenze che conoscessi. Mi sostenevano una determinazione assoluta, l’ostina­zione, la forza di volontà e l’egocentrismo.

La cocciutaggine faceva parte della mia natura. Quando avevo deciso di fare qualcosa, né l’inferno, né l’acqua santa avrebbero potuto cambiarmi. Molte volte durante la quaresima mia moglie mi supplicava di

bere, solo perché quando non bevevo ero insopporta­bile con lei e con i figli.

Tutti i miei amici sapevano che durante la quare­sima smettevo sempre. In quei giorni e in quelle notti mi sostenevano le loro lodi alla mia forza di volontà. Il timore di ciò che avrebbero potuto dire o pensare se mi fosse capitato di ricadere mi faceva continuare fino a Pasqua. Mi nutrivo dei commenti delle mogli degli amici che bevevano, “Oh, come vorrei che il mio Jack, (o Tom, o Steve), fosse capace di smettere come te”. Probabilmente mia moglie allora pensava, “Se so­lo sapessero quanto mi costa la sua sobrietà!”.

Ero anche il più intelligente uomo del mondo, nella compagnia nella quale ero impiegato, nei reparti in cui lavoravo e a casa come capo della famiglia.

Avevo un solo problema un po’ difficile da capi­re, per non dire da risolvere. Dopo il risveglio di tante mattine, sentendomi talmente disgustato e indisposto e dicendomi e ripromettendomi che non sarei stato di nuovo così stupido, perché riuscivo ad essere immedia­tamente stupido un’altra volta? Perché non potevo fer­marmi, come certi tipi che conoscevo, a quei primi uno o due bicchieri? Perché, in un modo o nell’altro, pen­savo quasi sempre al bere? Perché non potevo addor­mentarmi se non, a dir poco, mezzo rimbambito.

E se smettevo, come avrei occupato il mio tem­po? Che cosa avrebbe detto o pensato la gente? Che cosa avrebbe detto la clientela? Che cosa avrei fatto a Natale, a Capodanno e al mio compleanno senza be­re? Com’era che accadeva che non riuscissi a smettere quando volevo, mentre avevo sempre detto che pote­vo farlo? Come era possibile che mi ingannassi tanto? Ne avevo abbastanza di mentire. Ero stufo di cercar di essere quello che non ero. Mi feriva il pensiero di essere soggiogato dall’alcool come il tossicomane dal­la droga.

Un bel sabato pomeriggio, di luglio, quando ave­vo 34 anni, mi lasciai scappare davanti a un prete che l’alcool poteva essere la fonte dei miei guai. Prima non avevo mai ammesso con nessuno una cosa del genere. Il prete suggerì che tentassi con A.A.

Penso che uno degli straordinari ma semplici punti di A.A., è che io non dovevo smettere di bere, nel sen­so in cui lo intendevo io, prima di entrare nel programma. Penso che se il programma stesso avesse preteso

che smettessi come lo intendevo io, oggi non sarei sobrio.

A.A. ci insegna come vivere senza alcool, come l’alcool non sia necessario e come esso non faccia che aumentare i nostri problemi.

È cosa perfettamente naturale, per la maggior par­te di noi dire grazie alle altre persone per ciò che rice­viamo. Ed ecco perché è importante che io qui ringrazio per il più grande dono che è possibile ricevere: 24 ore di sobrietà.