Senza dire una parola, quel giorno mia figlia mi si è buttata al collo e si è messa a piangere. Che avrebbe fatto la Marina di una volta in quella situazione? Le avrebbe riversato addosso tutte le sue ansie: «ma che è successo?», «cosa ti hanno fatto?». Invece no. L’ho semplicemente abbracciata, senza chiedere niente. Accogliendo il suo dolore. In quel momento ho sentito che mi ero riappropriata del mio ruolo di madre: «l ‘ho partorita io; sono io che mi prendo cura dei miei figli e non il contrario».
Riprendere il mano la mia vita, assaporare quanto possa essere bella e quanto valga la pena di viverla è stato il dono più grande che ho ricevuto da AA. Quando sono arrivata nel gruppo la mia scelta è stata tra la vita e la morte. E ho scelto di morire, ovvero che la Marina di una volta morisse per far rinascere una Marina nuova. Quella vera.
Il programma di AA è simile a un percorso sciamanico: dalla morte alla vita. Chiunque mi aveva conosciuto prima pensava che fossi una donna dinamica e spavalda, che non aveva paura di nulla. Ero completamente presa dall ‘azienda di famiglia. Gli sport più erano estremi più mi attraevano. Ma dietro quella maschera c’era una donna fragile, impaurita. Sola nell ‘universo.
Ho cercato di placare nella religione la mia ansia cercando qualcosa che desse un senso all’esistenza.Ma anche in questo caso, mi lasciavo prendere solo dal fare: la chiesa, il catechismo per i ragazzini, l’assistenza ai poveri. E non riuscivo ad andar oltre, a smontare quella sovrastruttura intellettuale che avevo costruito in tanti anni di studi e che mi faceva sentire fica, ma nello stesso tempo mi rendeva incapace di vivere le mie emozioni.
AA e soprattutto l’abbandono fiducioso che ho avuto nel gruppo mi hanno dato la spinta a riprogrammare la mia vita. Un lavoro duro, faticoso, ma straordinario.
Il bello del progetto di recupero è che mi sta mettendo continuamente in contatto con le mie responsabilità, a non considerarle solamente un peso. Non ho più voglia solo di scappare, di annientarmi davanti alla sofferenza. Aveva proprio ragione Lucio Dalla quando cantava «l ‘impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale» .
Per il mio decimo compleanno di sobrietà ho voluto condividere con il gruppo le dodici promesse di AA. E la prima dice: conoscerai una nuova libertà e una nuova felicità. Mi sono fidata di questa promessa e sono stata ripagata. È fantastico scoprire che si può non aver paura delle parole e vivere ciò che esprimono. Nella semplicità di tutti i giorni.
È questa l’esperienza che l’ultimo passo del nostro percorso ci chiama a sperimentare continuamente e a condividere con gli altri, soprattutto con chi è ancora schiavo dell ‘alcol. È il paradosso di un cammino spirituale sincero. Ho faticato tanto e adesso non me ne sto seduta in poltrona a godermi il risultato. La mia ricompensa sta nel rimboccarmi le maniche e cominciare a trasmettere il messaggio di AA. Per il bene mio e delle persone che dio mette sulla mia strada.