Era giugno. Faceva caldo, troppo caldo per bere, anche se di solito appena uscivo dal posto dove lavoravo andavo in un bar lì vicino e mi scolavo una birra. Non mi sentivo bene: il battito cardiaco era accelerato e la testa mi girava. In farmacia mi sono fatto misurare la pressione. Era parecchio alta. Avevo paura. Pensavo di avere un infarto. Così sono andato al pronto soccorso dove mi ha visitato una dottoressa coi capelli biondi – me la ricordo ancora – che mi ha guardato in faccia e mi ha detto: «Non è questione di pressione alta. Questa è una classica crisi d’astinenza. Ma tu di che sostanze fai uso?». Sarà stato il suo modo di fare o il mio bisogno di sfogarmi, comunque iniziai a parlare del mio problema con l ‘alcol. Era la prima volta.
Tornai casa e presi appuntamento, come mi aveva suggerito il medico, con il centro alcologico del policlinico. Cercai anche su internet informazioni sul gruppo di Alcolisti Anonimi più vicino a casa mia. La mattina dopo però, proprio mentre mi preparavo per uscire, ebbi un crollo. Non riuscivo più a controllare il mio corpo. Mi buttai sul divano e rimasi lì, disteso, per una settimana. Passavo il tempo sentendo musica. Mi alzavo solo per andare a comprare le sigarette e la bottiglia di brandy.
Mi ricordo poco di quei giorni a parte di una notte passata a parlare con mia sorella, quella grande. E poi di quando sono finalmente andato al centro alcologico. Ero sveglio dalle quattro e mi ero attaccato alla bottiglia. Alle sette ero già per strada, in moto. Non so neppure io come sia riuscito ad arrivare all ‘appuntamento. Dopo le analisi e la visita, il medico mi ha chiesto se volevo veramente smettere di bere. Gli ho risposto che a casa avevo ancora una mezza bottiglia di brandy e che non potevo assicurare che non l’avrei bevuto. Mi ha risposto: «Lo devi salutare? non ti è ancora bastato?». Non so cosa sia successo in me in quel momento, ma, quando sono tornato a casa, ho preso la bottiglia e l’ho svuotata nel lavandino.Era un anno fa.
Oggi, mentre festeggio con gli amici del gruppo il primo compleanno della mia sobrietà, mi rendo conto che quello è stato il mio vero primo passo nel cammino di AA. Quando il medico mi ha messo di fronte a me stesso: o la mia vita o l’alcol. E quando ho svuotato la bottiglia è stato allora che ho riconosciuto paradossalmente la mia impotenza.
Con l’alcol ho buttato trent’anni della mia vita. Non li potrò recuperare, ma devo anche poter pensare che c’è un modo per mettermi alla pari. I dodici passi e le dodici tradizioni di AA sono la metodologia che mi permette di non correre dietro al tempo perduto, ma di vivere le mie ventiquattr’ore senza ansia. Di guardare con serenità il mondo davanti a me, anche quando sembra una trappola.
Mi hanno salvato la vita questi due foglietti. Ci sono scritti i dodici passi, le dodici tradizioni e la preghiera della serenità. Li porto sempre con me perché mi permettono di concentrarmi sulle mie ventiquattr’ore. Un giorno dopo l ‘altro. È stata una svolta poter restringere la realtà a quel lasso di tempo. In questo modo riesco a gestire la mia emotività, la mia ansia, la mia rabbia. Se oggi va male, se sono incazzato perché un colloquio di lavoro è andato male, posso dire: «È oggi. Non sarà per sempre».